4. Nero
04-04-2020 | quarantena
«Stefania» dice lei al citofono.
Le apre il portone, appende la cornetta e socchiude l’uscio. Ascolta l’ascensore scendere, poi fa un rapido giro dell’appartamento. Non ci sono piatti nel lavello. La camera è in ordine. Il bagno è pulito.
Lei entra spalancando la porta con il peso del corpo. Ha le braccia piegate verso l’alto, davanti al petto. Nell’incavo del gomito destro ha una busta della spesa. Lui si avvicina e le bacia le labbra.
«Fammi lavare prima» dice lei. Trascina le parole. Gli occhi, la bocca, il modo di parlare: è armata fino ai denti. È scontro personificato, è nervo teso e vibrante. È stanchezza, stress e rabbia accumulati in cerca di una falla. Lui sa di essere il parafulmine perfetto. Sa che basterebbe poco. Sa che dipende tutto da quanto dirà ora.
«Dammi qua» dice. Infonde al sorriso il resto del messaggio: tranquilla, sei a casa, sono dalla tua parte.
Le sfila la busta.
Lei va in bagno. Ha ancora le braccia piegate. Fa scattare l’interruttore con il gomito, solleva la leva del rubinetto con il dorso del polso e, con l’interno, schiaccia l’erogatore del sapone schizzando una, due, tre dosi nel palmo dell’altra mano. Si bagna la mano libera e poi inizia a sfregarle insieme. Vede la schiuma montare, mette la sinistra sulla destra e si sfrega le dita, fa viceversa, poi sfrega il pollice destro nel palmo sinistro e il pollice sinistro nel palmo destro, chiude la destra a pugno e ne sfrega il dorso nel palmo sinistro, fa il contrario, unisce i palmi, intreccia le dita e se le sfrega, poi stringe ogni dito della destra nel pugno sinistro e se lo sfrega e fa lo stesso con le dita della sinistra. Si risciacqua a lungo, chiude il rubinetto e si asciuga.
Allo specchio non è più lei. I capelli sono disfatti. La pelle è consumata. Gli occhi sono arrossati. Le labbra sono secche.
Si toglie la giacca e l’appende, si spoglia, infila i vestiti nella lavatrice ed entra nella doccia. Apre l’acqua fredda e si frusta via tutto il nero che la assale.
Lui sente l’acqua scorrere e continua a riporre la spesa. Intuisce la norma e trattiene melanzana, pecorino e basilico. Ordina ad Alexa di mettere su Boarding house reach e inizia a sbucciare la melanzana. Quando ha finito di affettarla a rondelle sente che lei si sta asciugando i capelli. Dispone i dischetti nello scolapasta, li cosparge a strati di sale grosso e li pressa mettendoci sopra un piattino e la zuccheriera. Affetta la cipolla, mette l’olio in una padella e accende il fuoco. Prende un barattolo di pelati dalla dispensa, lo apre, soffrigge la cipolla, aggiunge i pomodori, grattugia il pecorino e viene sorpreso dalle braccia di Stefania che lo avvolgono da dietro.
«Hai capito» gli dice accarezzandogli il petto.
«La spesa parlava chiaro.»
«Le stai spurgando le melanzane?»
«Per chi mi hai preso?»
«Ho anche voglia di vino.»
«Rosso, bianco?»
«Fai tu. È Jack White?»
«Oh yeah.»
Appoggia la guancia sulla sua schiena.
«Scusa. Arrivo sempre più nera da lavoro.»
«Me ne sono accorto.»
«Non rispettano le distanze. Si lamentano della fila. Si lamentano che ci sono poche casse aperte. Si lamentano che non c’è alcol, che non c’è Amuchina.»
«Almeno lavori.»
«Non sopporto la mascherina.»
«È importante.»
«Prova a tenerla tutto il giorno. Stringe, segna naso e guance. E poi prova a pulirti le mani con il gel dopo ogni cliente, a disinfettare il pos, il nastro, la cassa. Fallo tutto il giorno, più volte. Con la gente che si lamenta.»
«Almeno lavori.»
Lei abbandona l’abbraccio, si stacca dalla sua schiena e si appoggia al tavolo.
«Cos’hai?» chiede.
«Nulla.»
«Lo hai detto due volte.»
«Cosa?»
«So che è pesante stare a casa.»
«Non volevo dire questo.»
«E cosa volevi dire?»
«Che almeno esci, rimani attiva, fai qualcosa. Io mi sento inutile.»
«Tieni la casa pulita. Mi prepari la cena. Ti prendi cura di me.»
«Capirai.»
«E comunque finirà presto, il ristorante riaprirà.»
«Non so se ci torno» dice. Mette un coperchio sul sugo e si gira a guardarla.
«Vuoi cambiare?»
«Voglio un contratto. Lavoro là da un anno e mi pagano ancora in nero.»
«E tu chiediglielo.»
«Ora?»
«Certo.»
«Ma figurati. Sono chiusi da oltre un mese.»
«Hai sempre lavorato bene. Diglielo. E Franco è un amico.»
«Bell’amico. Manco una telefonata.»
«Digli che almeno ti dia qualcosa. Altrimenti te ne vai.»
«Sai che minaccia. Quanto ci mette a trovare un nuovo cameriere?»
«Tu lavori bene.»
«Voglio un contratto. Non voglio più lavorare in nero. Guarda cosa succede poi.»
«Chiedigli che te lo faccia quando tutto tornerà normale.»
«E nel frattempo? È da febbraio che non guadagno. »
«C’è il mio stipendio.»
«E basta per affitto, bollette, spesa?»
«Lo faremo bastare.»
«E cosa faccio tutto il giorno?»
«Ti occupi della casa. Aspetti che io ritorni. Mi tiri su il morale e mi dai un po’ di normalità.»
«Non ho la stoffa per fare il casalingo.»
«E io per fare quella che consola.»
Lui annuisce, abbozza un sorriso e si vergogna per essersi lamentato. Sta per dire qualcosa di sciocco ma viene salvato dal sugo che sfrigola. Si gira, abbassa la fiamma e toglie il coperchio.
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