11. Liberazione

25-04-2020 | quarantena

Venticinque aprile di tristezza.
Dalla finestra vede i tricolori appesi ai balconi di fronte e, poco più avanti, una bandiera immensa tesa attraverso la via fra due palazzi. Sono lì da inizio quarantena, la festa della liberazione non c’entra. E, in realtà, neanche ci fa caso ai tricolori, neanche gli importa che sia giorno di festa. Lui, di politica, non si è mai interessato. Quello che lo deprime sono le mura domestiche in cui è confinato da troppo tempo. Lo deprime lo smart working. Lo deprimono le conferenze via Zoom. Lo deprime la solitudine. Lo deprime Stella, che da quattro giorni non si fa viva. Non risponde alle chiamate, si rifiuta di usare WhatsApp e su Skype non compare più. È arrivato al punto di chiedere alla sua ex moglie se sia successo qualcosa. E Paola lo ha rassicurato dicendogli che sta passando una fase, che è un’adolescente, che il lockdown è duro per chiunque, figuriamoci per una sedicenne piena di energia. Che una cosa simile, una fase o quello che è, sia normale, lui non lo accetta. Pensa di aver sbagliato qualcosa, di averla offesa in qualche modo, di aver detto una sciocchezza. Non capisce cosa sia accaduto e se ne cruccia da giorni, dunque che sia il venticinque aprile e che non si possa festeggiare in piazza non gli importa nulla. Tanto non scendeva in piazza nemmeno prima.

Va in cucina a farsi un toast. Non ha voglia di cucinare. Non ha voglia di fare niente. Ha deciso di passare il pomeriggio annebbiandosi i pensieri con qualche serie tivù. Prende il pancarré, le sottilette, il vassoio di plastica con il prosciutto cotto preconfezionato del supermercato. Stratifica il pranzo e lo infila nel tostapane. Prende una birra dal frigo e armeggia col telecomando per scegliere cosa vedere. Vista, vista, noia, no, forse, impegnativa, forse, no, facciamo questa qui. Il telefono fa pop, lo attiva con l’impronta digitale e vede che è un messaggio WhatsApp di Paola. Apre e legge: una cosa buona l’abbiamo fatta. Seguono due cuori e un link. Lo seleziona e finisce su Twitter. Il tweet è di una tale Brigata qualcosa. Il nome è impronunciabile. Lo legge lentamente scandendolo a fior di labbra, in silenzio. Ok-tya-br-sk-a-ya. Brigata Oktyabrskaya. Non sa chi o cosa sia. Il tweet dice resistenza e liberazione. C’è un video. Tappa il play.

Vede una fila lunga in uno spiazzo da supermercato. Le persone indossano la mascherina, qualcuno ha il carrello. Quasi tutti sono voltati verso il centro dell’inquadratura dove una donna è china su di un libro. Ha la parte inferiore del viso coperta da una di quelle sciarpe arabe che non sa come si chiamano, ma che una volta andavano di moda. Inizia a leggere ad alta voce e, nonostante la sciarpa, si sente chiaramente quello che dice.

Il crepuscolo nella valletta ispessiva, mentre il cielo sulle colline restava straordinariamente, argenteamente chiaro, quasi una luminosa effusione delle stesse creste. Le desiderò subitamente e marciò su verso di esse. A mezzacosta, quella superiore luminosità già declinava, lasciando il posto a una cinerea effusione nella quale veleggiava immobile il disco bianco del sole. Si sforzò e raggiunse la cresta. Da una sella ebbe una parziale visione della città, accosciata in un’ansa del fiume, sotto la pressura di vapori e destino. Avrebbe ricevuto ancora quella sera stessa la notizia della morte di Pierre ed Ettore, Johnny si immaginò il serpere di quel funebre bisbiglio attraverso stanze gelide, disperati nascondigli, per la notte desolata.

Capisce che la donna è giovane, una ragazza, e si chiede perché la sua ex avrebbe dovuto condividere un video simile. Poi, all’improvviso, riconosce Stella. È lei la ragazza che legge. Si chiede come non abbia fatto a riconoscerla subito. È Stella, è sua figlia. La guarda, la sciarpa sul volto e il libro aperto in mano. Ha una canottiera bianca, i capelli legati a coda, le spalle pennellate dal sole. È Stella e ne ascolta le parole, la voce cristallina.

E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno.

Finisce di leggere, chiude il libro, alza la testa e si guarda attorno. Le persone in fila applaudono, qualcuno grida brava, qualcuno grazie. Poi il video si interrompe. Lo rivede da principio. Lo guarda riascoltando tutto per bene, divorandosi sua figlia.
Poi lo guarda una terza volta. Si commuove, piange.


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