Mariya Oktyabrskaya e la Fidanzata Combattente
“Mio marito è morto combattendo per difendere la madrepatria. Voglio vendetta per la sua morte contro i cani fascisti e per la morte della popolazione sovietica torturata dai barbari fascisti. A questo scopo ho depositato presso la Banca Nazionale tutti i miei risparmi, 50 mila rubli, per finanziare la costruzione di un carro armato. Chiedo cortesemente che sia battezzato “Fidanzata Combattente” e che mi inviate al fronte come suo pilota.”
Questa la lettera che Mariya Vasilyevna Oktyabrskaya scrisse a Stalin nel 1943.
Venne accontentata.
Ricevette un T-34, scatenò la sua furia vendicatrice contro i nazisti, morì in battaglia e fu la prima donna carrista a ricevere la più alta onorificenza dello stato comunista, Eroe dell’Unione Sovietica.
Da serva a patriota
Nascere in una famiglia contadina di dieci figli nella Crimea del 1905 significa nascere nel medioevo.
Mariya Vasilievna è serf, poco più che una zolla di terra, serva del proprietario del latifondo. Ufficialmente la servitù della gleba è stata abolita nel 1861 dallo zar Alessandro II, ma nella realtà la povertà estrema e l’indigenza sottomettono sempre più i contadini ai padroni. Sarà la Rivoluzione Russa a dar loro la libertà. A partire dal 1917 oltre 48 milioni di braccianti entrano nell’Armata Rossa e, guidati da Trotski, contribuiscono al crollo dell’Impero e alla instaurazione della Repubblica Sovietica.
La Rivoluzione Bolscevica emancipa Mariya dalla terra. Lavora in una fabbrica, poi diventa operatrice telefonica. Nel 1925, a vent’anni, sposa Ilya Ryadnenko, un ufficiale dell’esercito sovietico, e insieme prendono il cognome Oktyabrskaya, in onore della Rivoluzione d’Ottobre. Mariya si avvicina all’ambiente del marito e scrive alla sorella “Se sposi un soldato entri nell’esercito.” Impara a sparare. Impara a guidare. Diventa infermiera. Aderisce al Consiglio Militare delle Mogli.
Il comunismo, la rivoluzione e i bolscevichi hanno permesso il riscatto degli Oktyabrskaya. Sono orgogliosi del loro paese. Sono patrioti. Non hanno figli, ma attraversano gli anni Venti e gli anni Trenta servendo fieramente lo stato.
Venti di guerra
Il primo settembre 1939 la Germania nazista invade la Polonia dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale. Il grande orso sovietico, secondo i piani di Hitler, deve essere schiacciato e le terre che occupa date al popolo tedesco in carenza di spazio. Nel frattempo, però, occorre tenerlo a bada. Entra in scena il capolavoro diplomatico del Führer, il patto di non aggressione Ribbentrop-Molotov, stipulato qualche giorno prima, il 23 agosto. In base all’accordo le due potenze si impegnano a non attaccarsi e a non appoggiare paesi nemici dell’altra. Inoltre, in un protocollo mantenuto segreto, si spartiscono l’Europa dell’Est. All’URSS Polonia orientale, Paesi Baltici e Bessarabia, alla Germania la Polonia occidentale.
Spartito il bottino, nel 1940 Hitler estende il Terzo Reich fino all’Atlantico, al Mediterraneo e alla Norvegia. Solo la Gran Bretagna resiste al nazismo. Mentre il passo dell’oca risuona sugli acciottolati di mezza Europa, l’Unione Sovietica si lancia nella Guerra d’Inverno e rosicchia un lembo di terra alla Finlandia. L’Armata Rossa ne esce con le ossa rotte. La Russia è un gigante di cristallo. Tutto il mondo se ne accorge. La verità è che l’Unione Sovietica non è pronta alla guerra. L’esercito è in fase di ristrutturazione e rammodernamento dopo le epurazioni degli anni precedenti. Un confronto militare con la Germania sarebbe un suicidio. Stalin lo sa. Il patto Ribbentrop-Molotov, incerto e traballante, è la sua assicurazione sulla vita.
Operazione Barbarossa
20 maggio 1941. Richard Sorge, giornalista tedesco, corrispondente da Tokyo per varie riviste filo naziste, entra in possesso di alcuni telegrammi di Ribbentrop e scopre che Hitler intende infrangere il patto e invadere la Russia. Comunista e spia per conto dell’Unione Sovietica fin dalla Prima Guerra Mondiale, avverte Mosca:
“…l’attacco inizierà il 20 giugno, è possibile un giorno o due di ritardo, ma i preparativi sono ormai completi. Alla frontiera orientale della Germania sono ammassate dalle 170 alle 190 divisioni tedesche. Non ci saranno né ultimatum né dichiarazioni di guerra; l’esercito russo dovrà crollare e il regime sovietico cadrà entro due mesi.”
Stalin non gli dà retta. Non ascolta nemmeno gli avvertimenti di Churchill, né quelli dei suoi uomini che notano un insolito assembramento di truppe al confine e un aumento dei voli di ricognizione della Luftwaffe. Cancella sul nascere ogni dissenso, rimbalza al mittente ogni avvertimento e ignora deliberatamente l’evidenza. Fa di tutto per evitare di provocare l’alleato. Sul retro di un rapporto di un ufficiale tedesco caduto nelle mani del NKVD, la KGB dell’epoca, che indica come data dell’attacco il 22 giugno, annota:
“Rimandatelo a quella puttana di sua madre. Non è una fonte ma un disinformatore.”
Non serve a nulla. Hitler non ha bisogno di provocazioni e non ci sono accordi che reggano dinanzi ai sui progetti. E quanto paventato dai servizi segreti di mezzo mondo si avvera.
Il 22 giugno 1941 scatta l’operazione Barbarossa. 3 milioni e mezzo di uomini, 3300 carri armati, 600 mila veicoli, 7 mila cannoni, 2770 aerei e 625 mila cavalli invadono l’Unione Sovietica cogliendola di sorpresa e del tutto impreparata. Nonostante l’Armata Rossa sia in vantaggio numerico, quello tattico e tecnologico tedesco è schiacciante. Entro la fine dell’estate la Wehrmacht raggiunge Leningrado a nord, si apre la via di Mosca al centro e conquista l’Ucraina a sud.
Dinanzi al pericolo Mariya viene evacuata in Siberia, lontana dal fronte, impiegata come operatrice radio. Il marito invece parte per la guerra e cade nell’agosto del 1941 difendendo Kiev. Con il paese in ginocchio, le infrastrutture a pezzi e un invasore da ricacciare indietro, la moglie viene a sapere della morte di Ilya solo due anni dopo, nel 1943.
E giura vendetta.
La Grande Guerra Patriottica
Non sappiamo se Stalin abbia ricevuto la lettera di Mariya, ma sicuramente è stata letta dal Comitato di difesa dello Stato. L’occasione è ghiotta: una donna che immola i suoi averi e la sua persona per la causa. La arruolano, l’addestrano per cinque mesi e la formano come pilota di carro armato e meccanico.
Non si tratta solo di aria fritta per i giornali e la propaganda: è il quarto anno della Seconda Guerra Mondiale o, meglio, il secondo della Grande Guerra Patriottica, come viene chiamata ancora oggi in Russia. I nazisti sono stati fermati alle porte di Mosca, annientati a Stalingrado, respinti nella battaglia di Kursk. La linea del fronte arretra verso la Polonia, gli invasori sono in ritirata. Ma non è una rotta. Si combatte su tutta la linea e il fronte orientale è un tritacarne che a fine guerra arriva a inghiottire oltre 30 milioni di morti. In questo contesto una recluta dell’Armata Rossa riceve un esile equipaggiamento, un addestramento di un paio di settimane e un biglietto per il fronte. Mariya, in confronto, è un soldato d’élite.
E va davvero a combattere. Nell’autunno del 1943 entra nella 26a Brigata del 2º Corpo Corazzato della Guardia, oggetto di scherno dei suoi commilitoni. Non importa che abbia una volontà di ferro, un desiderio di vendetta immenso e un addestramento migliore di tutti gli altri: è una donna e ha 38 anni. I soldati ventenni che la circondano non la prendono sul serio. La guerra è una faccenda da uomini, è una cosa da duri.
Si ricrederanno il 21 ottobre, a Smolensk. La città è stata liberata un mese prima, ma ci sono ancora delle sacche di resistenza. L’obiettivo è spazzarle via. Mariya manovra il suo T-34 in battaglia per la prima volta. È un carro armato medio capace di combinare velocità, potenza di fuoco e armatura. Grazie alla sua corazza inclinata e al cannone di calibro più grosso è la spina dorsale dell’Armata Rossa. Sulla torretta ne ha dipinto il nome, Fidanzata Combattente. Mandata in ricognizione, è la prima ad avanzare sulle posizioni nemiche, schiacciando sotto i cingoli nidi di mitragliatrice e annientando postazioni anticarro. Il suo T-34 viene colpito e lei, disobbedendo agli ordini, esce dal mezzo e lo ripara sotto al fuoco nemico. Rientra e torna a combattere. I compagni vanno in visibilio, la chiamano “Mamma”. Alla sorella scrive:
“Ho avuto il mio battesimo del fuoco. Ho sconfitto i bastardi. A volte sono così arrabbiata che non riesco nemmeno a respirare.”
Viene promossa al rango di sergente. Il 17 novembre partecipa alla conquista di Novaje Siało, una cittadina della Bielorussia. Durante l’assalto notturno il suo carro viene nuovamente colpito. Salta a terra, lo ripara, torna in azione.
17 gennaio 1944, stesso copione. A Šviedy, presso Vitebsk, attacca le trincee tedesche e il suo equipaggio riesce a distruggere un cannone semovente. Il T-34 viene immobilizzato, colpito ai cingoli. Mariya scende, fa il suo dovere di meccanico e viene ferita alla testa da delle schegge. Trasportata in un ospedale da campo, perde conoscenza. Muore il 15 marzo dopo essere stata in coma per due mesi.
Eroe dell’Unione Sovietica
Il 2 agosto 1944 Mosca le conferisce la sua massima onorificenza e diventa, da morta, Eroe dell’Unione Sovietica per i molteplici atti di valore come pilota di carro armato e per aver distrutto innumerevoli postazioni fortificate.
Dopo la distruzione in combattimento del T-34 di Mariya, i suoi compagni ne scrivono il nome su un altro carro. Quando anche questo viene distrutto un terzo lo sostituisce e così via fino a Koenisberg, nella primavera del 1945. È la fine della Grande Guerra Patriottica. L’invasore è stato respinto. La Germania nazista è in macerie, sconfitta.
La Fidanzata Combattente ha vendicato Ilya.
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