Whisky Robber

06-05-2020 | storie | persone

Attila Ambrus

È la fine di un mondo.

9 novembre 1989, cade il Muro di Berlino. A Bucarest, il giorno di Natale dello stesso anno, Nicolae ed Elena Ceaușescu vengono processati e fucilati nel giro di poche ore.

11 marzo 1990, la Lituania dichiara l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Seguiranno le altre repubbliche baltiche.

Primo luglio 1991, si dissolve il Patto di Varsavia. Il 26 dicembre tocca all’URSS: alle Olimpiadi di Barcellona 92 parteciperà un nuovo acrostico, la CSI. Il primo presidente eletto della Federazione Russa, Boris El’cin, barcolla per il Cremlino ubriaco di vodka per tutti gli anni novanta.

Nel blocco orientale trionfano caos e liberalismo.
Mentre la popolazione, sempre più impoverita, è abbagliata dalle paillettes del consumismo, nel far west dell’implosione comunista i nuovi banditi hanno la faccia pulita, la cravatta e il colletto bianco. Dilagano evasione, corruzione e abusi d’ufficio, crimini borghesi perpetrati da persone con il culto del profitto. Il loro unico scopo è arricchirsi. A ogni costo.

Attila Ambrus non è di questa razza. È un uomo del popolo. Portiere della squadra di hockey ungherese Újpesti TE, ha poco più che vent’anni e sta per diventare un eroe degli oppressi.
Ma non grazie alle sue doti di atleta.

Attila Ambrus

Attila Ambrus

Nato nel 1967 a Fitod, un villaggio della Transilvania, non ha avuto una infanzia facile. Abbandonato dalla madre quando era poco più di un poppante e cresciuto prima dalla nonna e poi dalla zia, da ragazzo viene beccato per dei piccoli furti e sbattuto in riformatorio. Nel 1988 sparisce dai radar e la polizia gli appioppa un mandato d’arresto per aver eluso l’obbligo di firma. Fugge dalla Romania nascosto sotto il vagone di un treno merci e chiede asilo politico in Ungheria.

A Budapest sopravvive grazie a dei lavoretti saltuari, poi si dà allo sport, diventa giocatore di hockey e difende i pali della Újpesti. I compagni lo chiamano La pantera di Csík. Ma non è un campione e, per integrare il suo magro stipendio, ricopre anche il ruolo di addetto alle pulizie della squadra.

In quegli anni di delirio i paesi al di là della cortina di ferro inseguono il modello occidentale. Nella nuova etica imperante l’individualismo estremo la fa da padrone. Attila decide che quello che ha non gli basta. Vuole anche lui la sua parte. E se la prende a modo suo.

Rapine a mano armata

La prima rapina non si scorda mai. Soprattutto se ha successo.
Nel 1993, armi in pugno, assalta un ufficio postale e se ne va con il malloppo. Quell’anno compie altre cinque rapine mettendo insieme un gruzzolo di oltre 10 milioni di fiorini, grossomodo 42 mila dollari.

Le sue vittime predilette sono uffici postali, agenzie di viaggio e, soprattutto, le filiali della Banca OTP, oggi uno dei più importanti fornitori di servizi finanziari di tutta l’Europa centrale e orientale. In sette anni di carriera compie 27 rapine per un bottino totale di quasi mezzo milione di dollari, metà del quale ottenuto nel suo anno migliore, il 1997, quando in un solo giorno, il 10 marzo, ne porta a termine due.

Attila diventa presto una leggenda vivente, e non solo perché incarna il desiderio di rivalsa e i sogni di gloria degli ultimi. Ha la stoffa del ladro gentiluomo che firma con stile le proprie rapine.

Il mito lo conosce con il soprannome di Whisky Robber, dovuto all’abitudine di farsi un cicchetto nei dintorni prima di ogni colpo. Un modo come un altro per distendere i nervi. Ha carisma da vendere e ammalia tutti con i suoi modi garbati. Le sue sono rapine a mano armata ma, entrato in banca, ringrazia per la cooperazione e regala alle cassiere il mazzo di fiori usato per celare la pistola. Ama anche travestirsi arrivando a indossare i panni del capo della divisione rapine della polizia. Per sbeffeggiare gli agenti che gli danno la caccia spedisce loro delle bottiglie di vino.

Amato da tutti e dal cuore d’oro, viene catturato dopo la soffiata di un complice il 15 gennaio 1999 quando, nella fuga, perde tempo nel passare da casa ad accudire il proprio cane.

Il processo

Attila Ambrus

Almeno questa è l’aura romantica che i media gli appiccicano addosso dopo l’arresto e che Attila coltiva con cura. Attento alla sua immagine pubblica, in una intervista per la TV sostiene di non aver rubato i risparmi della gente, bensì i soldi dello stato e delle banche, e che i colletti bianchi compiono ogni giorno furti molto più gravi rimanendo impuniti.

Secondo l’accusa invece si tratta di uno spietato rapinatore che ha preparato meticolosamente ogni colpo e che non ha esitato a usare la forza quando necessario, arrivando a colpire ostaggi inermi e a sparare per aprirsi la via di fuga. Nonostante l’assenza di sangue versato, la sua piena confessione e i sette anni di condanna che è disposto a sobbarcarsi, gli viene imputato anche il reato di tentato omicidio. Il che significa carcere a vita.

E ovviamente non ci sta.

Nemico pubblico

Il 10 luglio 1999, a sette mesi dall’arresto, scappa di prigione in maniera spettacolare.

Evitando le telecamere di sorveglianza si arrampica su un muro alto quattro metri, entra al terzo piano di un edificio, si barrica in un ufficio usando una cassaforte, rimuove le sbarre da una finestra, si cala al primo piano usando dei cavi telefonici, salta in strada e se la dà a gambe. Le autorità sono umiliate, il pubblico e i media sono in visibilio.

La reazione è dura e lo stato ungherese non lesina in risorse per catturare il fuggitivo. Elicotteri in volo, autostrade chiuse, controlli a tappeto sui treni in uscita da Budapest e blocchi stradali. La polizia, con i giubbotti anti proiettile e armata di mitra, ha l’ordine di sparare se necessario. Per la gente è un onesto criminale, soprattutto se confrontato con la nuova élite di farabutti in completo sartoriale. Per le autorità è il nemico pubblico numero uno.

La ballata del Whisky Robber

Attila Ambrus

Attila Ambrus se ne sta nascosto in un appartamento nei bassifondi della capitale per tre mesi, poi esce per compiere l’ennesima rapina. Qualcosa va storto, riesce a fuggire ma la polizia è sulle sue tracce. Scova il suo nascondiglio e lo cattura, questa volta definitivamente. La condanna è esemplare: 17 anni da scontare in un carcere di massima sicurezza. Uscito per buona condotta nel 2012, è tornato in Romania dove oggi vive facendo il vasaio.

Eroe popolare che ha incarnato il sentimento di rivalsa della gente contro lo strapotere della finanza e della classe inamidata al comando, Attila è rimasto nel cuore della gente. Fra travestimenti, fughe rocambolesche e cicchetti trangugiati prima di ogni colpo, la sua è stata una vita all’insegna dell’avventura e della repulsione del conformismo neo-liberista. La sua epopea è stata raccontata da Julian Rubinstein in un libro di grande successo, Ballad of the Whiskey Robber, e da un film ungherese del 2017, The Whiskey Bandit.

Per anni allo stadio del ghiaccio della Újpesti TE i suoi vecchi tifosi hanno sventolato una bandiera in suo onore.


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