9. Crisi
22-04-2020 | quarantena
Il basilico è povero di foglie e quelle poche hanno i lati corrugati verso il basso. Aveva comprato tre mazzetti con le radici, li aveva interrati, aveva mantenuto la terra umida, aveva eliminato le foglie annerite e aveva potato i rami secchi. La pianta aveva attecchito. E ora qualcosa non va.
Toglie il dito dalla terra e se lo pulisce sui jeans. Si siede sulla sdraio e prende il tabacco dal tavolino. Apre la busta, si infila un filtro fra le labbra, prende una cartina, vi sfilaccia in centro un pizzico di tabacco e inserisce il filtro a una estremità. Tiene la cartina e il filtro fra l’indice e il pollice della sinistra e distribuisce il tabacco in lunghezza. Stringe le estremità fra i polpastrelli di indici e pollici, arrotola il tutto, lecca il lato con la colla e lo appiccica sul corpo della sigaretta. Strappa il tabacco in eccesso, compatta la sigaretta battendola dalla parte del filtro sul bracciolo della sdraio, se la infila fra le labbra, l’accende e tira una boccata. Espelle il fumo e lo guarda diradarsi verso l’alto nella luce del sole.
Cinque piani più in basso, in strada, il traffico è aumentato. Il silenzio delle settimane passate è più rumoroso. Osserva fra le ringhiere le auto passare rade e costanti e si chiede se è tutta gente che è tornata al lavoro. Si arrotola le maniche della camicia sopra al gomito, si sbottona sul petto e lascia che il sole evapori la depressione degli ultimi giorni di pioggia. Chiude le palpebre, fuma senza guardare e pensa che quello è il periodo in cui lavora di più. Scuole, gite del fine settimana e turisti. Esplode il verde e fioccano i visitatori. Trascorre le giornate fra piazze e musei a raccontare meccanicamente la città a vecchi di parrocchia dietro al capogruppo con bandierina, ad adolescenti persi nel cellulare e a impiegati euforici in attesa della cena offerta dalla ditta. Trascorre le serate stanco per il camminare e il parlare. Trascorre sette giorni su sette per quattro mesi di fila lavorando e lamentandosi del lavoro. Lavora sodo per mantenersi nei periodi di magra. Lavora così da talmente tanto tempo che la vita gli è venuta a noia. Piega la testa di lato sullo schienale della sdraio e sbircia in casa il tesserino appeso all’attaccapanni. Non lo indossa da febbraio. Sa che non se lo metterà al collo per almeno un altro anno.
Ha tremila euro in banca che si deve far bastare. Non può fare affidamento sul contributo statale per l’emergenza. Ha incassato seicento euro per il mese di marzo e dicono che ne avrà ottocento per aprile, ma è già fine mese e ancora non ha chiare le modalità di richiesta. Non sa se il contributo ci sarà a maggio. È sicuro che non ci sarà più a emergenza finita, quando il suo lavoro continuerà a mancare. Deve presupporre di non poter lavorare per un anno e di non ricevere alcun contributo. Deve pensare al peggio. Deve progettare il futuro senza affidarsi all’incertezza. Deve pianificare la sopravvivenza. Deve pagare tasse, bollette, internet, cellulare, affitto, cibo. Ha tremila euro per dodici mesi. Duecentocinquanta al mese. Deve eliminare il superfluo. Niente più tabacco, Netflix, Campari, mentine extra strong. Deve razionare. Deve limitarsi a pasta e riso. Deve bere solo più acqua. Deve eliminare caffè, tè, biscotti, cioccolata. Deve mangiare poco e in bianco. Deve stringere la cinghia, comprare solo l’indispensabile e tirare a campare.
Pigia la sigaretta nel posacenere e torna a chiudere gli occhi. Può stringere quanto vuole, ma duecentocinquanta euro non gli bastano nemmeno per l’affitto.
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