14. Ricovero
02-05-2020 | quarantena
Germana guarda il cellulare posato sulla cerata che copre il tavolo della cucina. Tiene accesa solo la luce sopra ai fornelli, per non disturbare il marito. Sente il suo respirare affannoso arrivare dalla camera. Ascolta il battere ritmico della pendola in salotto. Rimane seduta al tavolo e cerca il coraggio per prendere il telefono.
Parte dalla chiamata che la spaventa di più.
Elena risponde con voce roca ma già allarmata. Nessuno squillo deturpa la notte con buone notizie. Prova a dirle quanto si era preparata da giorni, ma non ci riesce. Il groppo in gola le cola via in lacrime e le parole escono confuse. Dal balbettio sua figlia ricava comunque quanto necessario a lanciarsi in una paternale invertita. La rimprovera di essere andati troppo in giro. La rimprovera di non aver chiamato il medico. La rimprovera di averle nascosto il contagio del padre. La rimprovera di aver rischiato di ammalarsi anche lei. La rimprovera spaventata e Germana singhiozza remissiva. La figlia dice quello che è ovvio e ragionevole fare e lei annuisce sola nella cucina. Ha promesso al marito di non avvertire nessuno e di non farlo ricoverare in ospedale. Ora è pronta a tradire la sua fiducia.
La seconda chiamata è molto più semplice. Risponde chiaramente alle domande dell’operatore e spiega tutto con calma. Le ripetono le precauzioni e le dicono di aspettare. Quando mette giù le guance sono ormai asciutte. Si alza e si sposta in salotto. Ci vive accampata da una settimana. Dorme sul divano e tiene gli abiti su una sedia. Si toglie il pigiama, si veste, va in bagno, si mette in ordine i capelli. Allo specchio vede magrezza, rughe e occhiaie. Si infila la mascherina, percorre il corridoio e si affaccia alla camera. Il marito rantola nel buio. Accende la lampada dell’ingresso e, nella poca luce, entra nella stanza guardandolo faticare supino. Prende dal comò la borsa che tiene pronta da giorni e aggiunge alla biancheria di ricambio, al pigiama, all’asciugamano, alla penna e alla Settimana Enigmistica la custodia degli occhiali, il carica batterie e il telefono di Giulio. Si muove con cautela, senza fare rumore. Lui respira male, tossisce, cerca aria. Prova a non svegliarlo anche se non sa nemmeno se dorme.
Il citofono sconquassa la casa. Il marito si agita sotto le coperte, lei va a rispondere. Tutto avviene gelidamente. Tute bianche, volti celati, scambio di dati, confusione di estranei che si muovono nell’appartamento come se fosse loro. Osserva tutto da distante, in piedi, le mani che si tormentano. Oscillano intorno al letto, dicono parole ovattate, fanno cose con gesti precisi. Fra i loro corpi ha sprazzi di visione del marito. Quando lo caricano sulla barella e lo portano via già non sembra più lui. Chiude la porta, gira la chiave dando tutte le mandate, spegne le luci che sono state accese, si trascina in cucina e si siede al tavolo. Ascolta rassegnata la pendola ticchettare metallica.
Ha ancora la mascherina sul volto.
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